La legge 201/2011 ha sostituito questo istituto con la pensione di vecchiaia – ottenibile dopo aver maturato l’età pensionabile e almeno 20 anni di contributi – e la pensione “anticipata” – i cui requisiti sono il raggiungimento di 42 anni e 1 mese di contributi per gli uomini, un anno in meno per le donne.
Tutti i lavoratori messi in regola dal datore di lavoro vedono una parte della loro retribuzione accantonata dagli Enti di previdenza (INPS, Casse di previdenza per singole categorie di lavoratori) che finanzierà la loro pensione, una volta cessata l’attività lavorativa.Per ottenere il pagamento, il lavoratore che ha maturato tale diritto deve presentare all’ente previdenziale l’apposita domanda di pensione. La riforma Monti del 2011 ha di fatto abolito le pensioni di anzianità, una combinazione di età anagrafica ed anzianità contributiva, a favore delle sole pensioni di vecchiaia, legata esclusivamente all’età anagrafica. Per avere diritto alla pensione è necessario aver accumulato almeno venti anni di contributi.
Il supporto del patronato facilitare il recupero dei contributi eventualmente evasi dai datori di lavoro e l’accredito dei contributi figurativi per i periodi di malattia, infortunio, maternità, disoccupazione, cassa integrazione, servizio militare. Nel caso dell’INPS, l’invio della domanda può essere fatto direttamente dall’interessato o dal patronato, tramite internet o con una raccomandata con ricevuta di ritorno.
Il perché delle modifiche al sistema previdenziale: cosa ci aspetta?
L’insieme delle modifiche all’intera struttura pensionistica è nato dalla volontà di uniformare tutte le tipologie di previdenza. Quando l’intera riforma sarà a regime, ovvero nel 2022, l’età di uscita dal lavoro sarà per entrambi i sessi a 67 anni, con la sola eccezione di coloro che hanno raggiunto i 41-42 anni di contributi e i lavoratori dei cosiddetti “lavori usuranti”.
L’insieme delle modifiche all’intera struttura pensionistica è nato dalla volontà di uniformare tutte le tipologie di previdenza. Quando l’intera riforma sarà a regime, ovvero nel 2022, l’età di uscita dal lavoro sarà per entrambi i sessi a 67 anni, con la sola eccezione di coloro che hanno raggiunto i 41-42 anni di contributi e i lavoratori dei cosiddetti “lavori usuranti”.
Secondo la legge precedente (L. 247/2007), era possibile conseguire la pensione di anzianità qualora si fosse raggiunta una quota il cui valore era determinato dalla somma dell’età anagrafica e di quella contributiva. Il valore era destinato a crescere, influenzato dall’aumento della speranza di vita e altri fattori, e avrebbe dovuto raggiungere nel 2013 il 97 per i lavoratori dipendenti e il 98 per quelli autonomi.